L'enigma referendario

Il paradosso del referendum sulla caccia: a 35 anni dall'intervento di Rodotà
Trentacinque anni fa, il 3 giugno 1990, gli italiani si recarono alle urne per un referendum abrogativo sulla legge sulla caccia. Un appuntamento che, nonostante l'impegno di numerose associazioni ambientaliste e di personalità di spicco come Stefano Rodotà, si concluse con un clamoroso fallimento: la consultazione non raggiunse il quorum. Un risultato che, all'epoca, fu interpretato da molti come un segno di disinteresse civile, ma che, a distanza di decenni, si rivela un paradosso ancora attuale.
L'intervento di Rodotà, pubblicato sul quotidiano La Repubblica il 10 giugno 1990, a pochi giorni dalla conclusione del voto, rappresenta una pietra miliare nel dibattito sulla partecipazione democratica e sulla tutela dell'ambiente. Con la sua consueta chiarezza e profondità di analisi, il giurista evidenziava la contraddizione intrinseca di un sistema che, da un lato, riconosceva il diritto di espressione popolare attraverso il referendum, dall'altro lo rendeva di fatto inapplicabile a causa dell'elevata soglia di partecipazione richiesta per la validità della consultazione. Un meccanismo che, secondo Rodotà, finisce per disincentivare la partecipazione e svuotare di significato il principio stesso del referendum.
Rodotà, nel suo articolo, non si limitava a denunciare il fallimento del referendum, ma andava oltre, analizzando le cause profonde di questo risultato. Si interrogava sul rapporto tra cittadini e istituzioni, sulla capacità delle istituzioni di recepire e interpretare le istanze popolari. Puntava il dito, inoltre, sulla necessità di una maggiore consapevolezza civica, sottolineando il ruolo fondamentale dell'informazione e della formazione per garantire una partecipazione consapevole e responsabile alla vita democratica.
Il paradosso, dunque, risiede proprio nel fatto che un sistema concepito per dare voce al popolo, nel caso specifico del referendum del 1990, si è rivelato un meccanismo inefficiente e inefficace. L'intervento di Rodotà, oggi più che mai, ci invita a riflettere su questi temi, a interrogarci sul funzionamento della nostra democrazia e sulla necessità di rendere più accessibili e incisivi gli strumenti di partecipazione popolare, come i referendum abrogativi. La sua analisi resta di straordinaria attualità, a dimostrazione di quanto la riflessione del giurista sulla democrazia partecipativa sia stata preveggente e lungimirante.
A 35 anni di distanza, l’eco delle parole di Rodotà risuona ancora forte, ricordandoci l’importanza di una partecipazione attiva e consapevole alla vita politica e la necessità di riformare i meccanismi della democrazia rappresentativa per renderli più rispondenti alle esigenze di una società moderna e sempre più complessa. Un appello che resta, purtroppo, ancora oggi di stringente attualità.
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